mercoledì 26 novembre 2014

IL CIELO È DEI VIOLENTI - Flannery O' Connor. Pazza idea...


Titolo: Il cielo è dei violenti

Autore: Flannery O' Connor  
Editore: Einaudi
Anno: 2008
Pagine: 206
Traduzione: Ida Ombroni 

 
“Lo zio di Francis Marion Tarwater era morto solo da mezza giornata quando il ragazzo si ubriacò troppo per finire la fossa, e un negro di nome Buford Munson, che era venuto a riempire una brocca, dovette terminare di scavarla e trascinarci il corpo, che era ancora seduto alla tavola della prima colazione, per dargli una sepoltura da cristiani, con le insegne del Salvatore sopra la testa e abbastanza terra perché i cani non lo scavassero fuori" 




Salvador Dalì, L'invenzione dei mostri

Bastano poche pagine, pochissime a dire il vero,  per comprendere come ci si trovi di fronte a una grande scrittrice. La scrittura della O’ Connor, credo fortemente, che non possa essere scissa da quella che è stata la sua vita, caratterizzata da un radicatissimo sentimento religioso e dalla malattia, il lupus eritematoso sistemico del quale era affetto anche il padre, che la portò ad una morte precoce e che lei visse sempre stoicamente, senza rifugiarsi in patetici atteggiamenti vittimistici, affermando quasi con candore “Non sono stata altrove che malata. In un certo senso la malattia è il luogo più istruttivo di un lungo viaggio in Europa”. Quindi, malattia come parte essenziale di se stessa, della propria natura, non una “nemica” e, spesso anzi, strumento indispensabile per interpretare e capire il mondo. Il cielo dei violenti (titolo originale The violent bear it away) il cui titolo prende il nome da una citazione evangelica è un crudo e intenso romanzo nel quale O’Connor fa calare in un’atmosfera atroce, venata di follia, il contrasto pressoché insanabile tra fede e pensiero razionale. Contrasto insanabile perché ci troviamo di fronte a due fanatismi uguali e diversi allo stesso tempo, rappresentati alla perfezione dal vecchio Tarwater, autoproclamatosi profeta, e dal maestro Ryber che del razionalismo puro ha fatto la sua ragione di vita. Parole dure, ruvide quelle della O’Connor, personaggi estremi e aberranti destinati a una costante e dolorosa non-salvezza o, al limite, a trovare la libertà in atti di violenza inaudita. Ambientato nell’America rurale degli anni ’60  il romanzo sfugge, comunque, a qualsivoglia e restrittiva collocazione temporale facendone un’opera senza tempo.



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